giovedì 22 gennaio 2015

I LIBRI DI ERIC EMMANUEL SCHMITT :"Non si crede per paura, ma per gioia. La gioia è riconoscenza, è intelligenza del mistero

 (da Dialoghi Carmelitani  un consiglio di lettura molto bello..)

LA GIOIA DI CREDERE DI ERIC EMMANUEL SCHMITTdi Cosetta Zanotti
Più di due anni fa un’amica mi chiese un parere su di un libro intitolato: Oscar e la dama in Rosa, di Eric Emmanuel Schmitt. La copertina era poco invitante, così pensai di rimandare la lettura. Lo appoggiai sullo scaffale dello studio e me ne dimenticai. Ogni tanto gli passavo davanti, gli davo un’occhiata e pensavo: prima o poi ti leggerò, ma non adesso, ho altro da fare! Non avevo calcolato che, anche se può suonare strano, sono i libri a scegliere il proprio lettore e non viceversa. Così un giorno spinta anche dalla necessità di dover dare un parere all’amica, aprii di mala voglia il libro e lessi.
Quella fu la prima volta che incontrai la scrittura di E. E. Schmitt. Fulminante! Un amore a prima vista tra il libro e il suo lettore. Un pugno allo stomaco che aveva scosso anche il cuore. E’ così che vorrei scrivere, pensai. Mi procurai tutti i suoi libri e un anno e mezzo dopo mi trovavo a Milano faccia a faccia con lui per un’intervista. Un uomo garbato e sorridente che mi raccontò della sua scrittura, della sua conversione avvenuta una notte di tanti anni fa nel deserto e del suo stretto legame con i mistici. “Hanno ragione i grandi mistici a mettere in primo piano la gioia, sostiene E. E. Schmitt, contrariamente a quanto alcuni sospettano, non si crede per paura, ma per gioia. La gioia è riconoscenza, è intelligenza del mistero!”
 Nato nel 1960, docente di filosofia, appassionato di musica classica, scrittore e drammaturgo, in poco più di dieci anni E.E.Schmitt è diventato uno degli autori francesi  più letti e rappresentati in tutto il mondo con opere che sono ormai un classico del repertorio internazionale, amate da pubblico e critica in più di quaranta paesi. Tra i suoi successi tradotti anche in Italia i quattro libri sull’infanzia e la spiritualità: Milarepa, Monsieur Ibrahim e i fiori del corano, Oscar e la dama in rosa, Il bambino di Noè. Una carriera da romanziere tra cui: Il visitatore, La parte dell’altro, Piccoli crimini coniugali, Quando ero un opera d’arte, La mia storia con Mozart, Odette Toulemonde (tutti editi da E/O) e Il vangelo secondo Pilato (San Paolo).

RACCONTI AD OROLOGERIA  (E.Schmitt)     (Recensione)

Odette, una donna apparentemente povera di tutto, ma felice. Balthazar, un uomo che ha tutto, ma profondamente infelice e che chiederà proprio a lei di impartirgli lezioni di felicità. Questi i due protagonisti di Odette Toulemonde, uno degli otto racconti, che dà anche il titolo all’ultimo libro di Eric Emmanuel Schmitt. Scritti con la solita semplicità alla quale l’Autore ha abituato il suoi lettori e tutt’altro che banali, i racconti hanno otto protagoniste femminili che attraversano vicende esistenziali non propriamente “perfette”. Un fatto imprevedibile, ma determinante irromperà nel quotidiano mutando improvvisamente il corso di queste esistenze inesorabilmente avviate al fallimento. Si potrebbero definire “racconti ad orologeria” che conservano all’interno una bomba pronta ad esplodere e capace di ridonare vita a personaggi che parevano ormai finiti. Ogni riga rivela una tensione che tiene vivo l’interesse del lettore che, da un momento all’altro, attende l’affacciarsi dell’imponderabile.
L’intenzione principale dell’Autore, non è il giudizio morale sui personaggi o sulle situazioni che essi vivono. Tali personaggi e situazioni potrebbero scandalizzare molti benpensanti notoriamente poco propensi all’indulgenza e sempre pronti ad inorridire, ad ergersi giudici del mondo, autorizzati ad escludere dalla felicità tutti quelli che non ne sono reputati degni. Per essi, tanto per fare un esempio, la Sonja di Delitto e castigo – splendida immagine della carità di Cristo – non avrebbe mai dovuto essere una prostituta che, tra l’altro, legge addirittura il Vangelo.
Schmitt sembra dirci che occorre andare al cuore dello scritto, occorre elevarsi oltre al dato di fatto, alla superficie delle parole. Solo così si rimane colpiti dalla Speranza che, nonostante tutto, può schiudersi dentro un cuore nel quale ci sarebbe spazio solo per uno sguardo pessimistico su di sé e sulla realtà. Egli focalizza l’attenzione su otto anime angosciate perché non sono in sintonia con ciò che veramente cercano e desiderano: la felicità. Per comprendere basterebbe leggere soltanto l’emblematico Odette Toulemonde, divenuto anche un film ( uscito in Italia con il titolo Lezioni di Felicità con la regia dello stesso Schmitt) nel quale emerge con chiarezza il progetto dell’Autore.
Schmitt riesce a scuotere il lettore freddo che non si aspetta più nulla. Lo aveva bene intuito Kafka che, nel 1904, scriveva all’amico Oskar Pollak: “Bisognerebbe leggere, credo, soltanto libri che mordono e pungono. Se il libro che leggiamo non ci sveglia con un pugno nel cranio, a che serve leggerlo? Affinché ci renda felici, come scrivi tu? Dio mio, felici saremmo anche se non avessimo libri, e i libri che ci rendono felici potremmo eventualmente scriverli noi. Ma noi abbiamo bisogno di libri che agiscano su di noi come una disgrazia che ci fa molto male, come la morte di uno che ci era più caro di noi stessi, come se fossimo respinti nei boschi, via da tutti gli uomini, come un suicidio, un libro deve essere una scure per il mare gelato dentro di noi”.
Per comprendere il messaggio dell’Autore occorre una lettura libera da pregiudizi, una libertà di approccio al testo che ci chiede di riflettere davanti alle situazioni della vita senza chiudere gli occhi alla realtà. È illuminante a questo proposito ciò che affermava in un’intervista del 2007 all’Osservatore Romano, Nadine Gordimer, Premio Nobel per la letteratura nel 1991: “Io penso che lo scrittore debba guardare alla situazione del luogo in cui vive, al suo tempo […]. Oltre ad essere scrittori, oltre a essere narratori, nel contempo si è esseri umani, nati in un certo luogo e in un dato tempo, parte di un Paese”. Se ci si attendesse esclusivamente storie idilliache e piene di buon senso non si potrebbe che rimanere delusi. Se si desiderasse che ogni scrittore dicesse ciò che il lettore vorrebbe fosse detto non si riuscirebbe mai a penetrare a fondo il percorso di colui che scrive. In particolare, è necessario ricordare che lo stesso Schmitt ha vissuto momenti simili a quello che accade nelle sue storie quando dall’ateismo si è convertito al cristianesimo. La sua diviene così una scrittura capace di coinvolgere il lettore perché ha precedentemente coinvolto e mutato l’Autore; dove l’Autore si è messo interamente in gioco perché ha soltanto quel modo per dire quanto deve dire, per esprimersi, quindi, per dire se stesso; una scrittura che non sia mai asservita a una ideologia, perché la letteratura è il terreno della ricerca.
Lo sguardo sulla realtà offerto da Schmitt non è sospettoso né moralizzatore, ma consapevole che la felicità è come un lampo che illumina improvvisamente le tenebre. Le sue parole, in una recente intervista pubblicata dal Messaggero di Sant’Antonio, curata da Cosetta Zanotti, sciolgono ogni dubbio: “Sono otto racconti sulla Grazia e sulla Redenzione. I protagonisti pensano che la vita non offrirà più a loro vie d’uscita. Come se fossero già morti. In ognuno di questi racconti accadrà invece qualcosa che farà riscoprire il peso delle cose, per credere ancora, per vedere qualcosa di nuovo nel mistero dell’esistenza. Vedranno la Grazia che viene e sorprende! Come se accendessimo una lampadina in una stanza buia. Mi piace cercare la luce nelle tenebre: quindi bisogna trovare l’interruttore. È questo il fulcro degli otto racconti. Viviamo in un mondo schizofrenico: pensa da pessimista e vive da ottimista; crede che la vita sia brutta e che tutto finisca con la morte, che nulla abbia senso, che siamo solo un insieme di molecole in movimento e materia in disgregazione. In un simile contesto bisogna fare un esercizio di lucidità per trovare una visione coerente della vita»
 La Grazia: ecco il fil rouge di questi otto racconti. Una Grazia che improvvisamente abbaglia, ma che lascia spazio alla libertà dei protagonisti chiamati ad ulteriori scelte per ricostruire la propria vita. Infatti, se li si legge con un minimo di attenzione è evidente che la conclusione di ogni racconto non è il classico happy end. Ciò permette al lettore di abbandonare schemi già precostituiti e di accostarsi non superficialmente a testi capaci di far toccare degli aspetti nascosti e in grado di suscitare delle domande nuove circa la situazione dell’uomo. Sono percorsi spirituali che aprono il cuore alla Grazia che si presenta nelle forme più varie spalancando delle porte che introducono alla soglia del mistero. di P. Piero Rizza ocd

ERIC-EMMANUEL SCHMITT, Odette Toulemonde e altri racconti, ed. e/o, Roma 2007, pp. 176

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