domenica 10 agosto 2014

Profilo di Edith Stein (a cura di Padre Antonio Maria Sicari)

„In fondo ciò che devo dire è sempre una piccola, semplice, verità: come imparare a vivere con la mano nella mano del Signore.“



(dal 'Libro dei Santi Carmelitani' di A. Sicari)

Edith nasce a Breslavia (allora in Germania, attualmente è la città polacca di Wroclav), nel 1891, undicesima e ultima figlia di una coppia di sposi ebrei.
Rimane orfana di padre a due anni e la numerosa famiglia viene guidata con saggezza e forza dalla madre, una donna profondamente religiosa e tenacemente attaccata alla propria tradizione ebraica.
Edith è però una bambina indipendente e di intelligenza particolarmente vivace.
Verso i quindici anni abbandona la fede in cui è stata educata, perché non le riesce di credere all'esistenza di Dio, mentre tutta la sua adolescenza si protende nel culto verso la verità (intesa come sviluppo della conoscenza) e verso la difesa della dignità della donna.
Frequenta l'università -caso abbastanza raro per le ragazze del suo tempo-, tanto che nel 1910 è l'unica donna che si iscrive alla facoltà di filosofia della sua città.
Si trasferisce a Gottinga, vera 'città universitaria', dove fa il primo incontro determinante della sua vita, quello con il filosofo Edmund Husserl, fondatore della fenomenologia.
Resta impressionata dall' onestà rigorosa del pensiero del Maestro e con lui si laurea, col massimo della lode, discutendo una tesi sul problema dell'Einfuhlung, termine che i filosofi italiani traducono con 'empatia'.

Husserl la stima talmente che la ritiene già pronta per una cattedra e, quando viene trasferito a Friburgo, la sceglie come sua assistente.
È lei che deve sistemare l'enorme produzione di manoscritti e appunti stenografati che il Maestro le affida: deve decifrarli prima, e sistematizzarli poi, segnando ciò che deve essere riveduto o completato.
In una lettera del 1917, Edith scrive: 'L'ultima trovata del Maestro è questa: innanzitutto devo restare con lui fino a quando mi sposo; poi posso sposare solo un uomo che diventi anche lui suo assistente, e i bambini pure. Colmo della sventura!'.
Merito di Husserl -che è molto esigente e un po' tirannico- è quello di educare i propri discepoli al suo celebre principio: 'Zu den Sachen': occorre aderire alle cose, aderire ai fenomeni così come si presentano. Ed è per questa intellettuale onestà che Edith non può fare a meno d'essere toccata, interiormente segnata, anche da certi 'fenomeni' particolari.
Alcuni più generici: uno studio interessante sul Pater noster in antico germanico; l'incontro con la personalità affascinante di Max Scheler, geniale ma disordinato neo-convertito; due anni di esperienza al fronte come crocerossina durante la prima guerra mondiale, ciò che la mette a contatto col mistero della sofferenza.
Sono tutti fatti che cominciano a farle scoprire il fenomeno religioso. Possiamo comprendere il tipo di attenzione con cui ella normalmente vive, ascoltando lei stessa descrivere la sorpresa provata durante una visita - fatta per motivi esclusivamente artistici - a una chiesa cattolica: sorpresa al vedere una donna del popolo entrare a pregare con la borsa della spesa sotto il braccio.
'La cosa mi parve strana. Nelle sinagoghe e nelle chiese protestanti che avevo visitato si entra soltanto durante il servizio divino. Al vedere qui la gente entrare tra una occupazione e l'altra, quasi per una faccenda abituale o per una conversazione spontanea, rimasi colpita a tal punto che non mi riuscì più di dimenticare quella scena' .

Altri due episodi furono invece ancora più precisi e determinanti. A Gottinga aveva conosciuto un giovane docente, Adolf Reinach, braccio di Husserl per i contatti con gli studenti, che l'aveva molto impressionata per la bontà, la finezza, il gusto artistico che si riflettevano perfino nella sua abitazione.
Edith era diventata amica di famiglia, ma nel 1917 l'amico era stato ucciso combattendo nelle Fiandre. La giovane vedova allora chiese a Edith di aiutarla a classificare gli scritti filosofici del defunto, in vista di una pubblicazione postuma.

Costei provò un estremo disagio al pensiero di dover tornare in quella casa che aveva conosciuto piena di bellezza e di felicità, convinta che l'avrebbe trovata sprofondata nel lutto e nella disperazione. Trovò invece l'atmosfera di un'indicibile pace e vide l'amica con il volto segnato dal dolore, ma come trasfigurato.
Udì da lei il racconto del battesimo che i due coniugi avevano ricevuto pochi mesi prima quando, ambedue, si erano decisi ad entrare nella Chiesa protestante -pur sentendosi attratti dal cattolicesimo- per una sorta di impulso interiore a far presto: 'Non ha importanza, non pensiamo al futuro; una volta entrati nella comunione con Cristo, ci condurrà Lui dove vuole! Entriamo nella Chiesa, non posso più aspettare!' . (La signora Reinach, in seguito, divenne infatti cattolica).

Edith ascoltava quel racconto d'amore e osservava quella pace. 'Fu quello il mio primo incontro con la Croce, con quella forza divina che la Croce dà a coloro che la portano. Per la prima volta mi apparve visibilmente la Chièsa, nata dalla passione di Cristo e vittoriosa sulla morte. In quel momento stesso la mia incredulità cedette, l'ebraismo impallidì ai miei occhi, mentre si levava nel mio cuore la luce di Cristo. È questa la ragione per cui, nel prendere l'abito di Carmelitana, ho voluto aggiungere al mio nome quello della Croce'.
Per quattro anni questo fatto' o 'fenomeno' lavorò nella sua coscienza finché venne portato alla massima chiarezza e consapevolezza da un altro e più determinante episodio.

Durante l'estate del 1921 Edith fu ospite, per un periodo piuttosto lungo, presso un'altra coppia di amici, convertiti anch'essi al protestantesimo. Una sera che i due sposi dovettero assentarsi, le lasciarono la propria biblioteca a disposizione.
Ecco il racconto di ciò che accadde.
'Senza scegliere, presi il primo libro che mi capitò tra mano. Era un grosso volume che portava il titolo: Vita di Santa Teresa d'Avila, scritta da lei stessa. Ne cominciai la lettura e ne rimasi talmente presa che non la interruppi finché non fui arrivata alla fine del libro. Quando lo chiusi dovetti confessare a me stessa: Questa è la verità!'.

Aveva trascorso nella lettura l'intera notte; al mattino andò in città a comprare un catechismo e un messalino: li studiò a fondo e dopo qualche giorno si recò ad assistere alla prima Santa Messa della sua vita.
'Niente mi rimase oscuro - disse -. Compresi anche la più piccola cerimonia. Al termine raggiunsi il prete in sacrestia e dopo un breve colloquio gli chiesi il battesimo. Mi guardò con molto stupore e mi rispose che una certa preparazione era necessaria per l'ammissione in seno alla Chiesa: 'Da quanto tempo segue l'insegnamento della fede cattolica?' -mi chiese- 'Chi la istruisce?'. Per tutta risposta riuscii a balbettare: 'La prego, reverendo Padre, mi interroghi''.
Dopo un esame approfondito il prete riconobbe che non c'era nessuna verità della fede su cui ella non fosse istruita.

Il battesimo venne fissato per il capodanno del 1922 e, in quell'occasione, ella aggiunse al proprio nome quello di 'Teresa'.
La conversione segnò una profonda lacerazione tra Edith e la madre, che non riusciva a capire perché mai la figlia non fosse tornata al Dio dei suoi padri. Lacerazione che doveva ulteriormente e misteriosamente approfondirsi e superarsi quando Edith decise il proprio ingresso nel monastero carmelitano di Colonia.

Dal punto di vista interiore, per Edith Teresa Stein la vocazione al battesimo e quella al Carmelo coincisero con assoluta certezza, fin dal primo momento.
Tuttavia il suo direttore spirituale le impedì di concretizzare subito quella vocazione claustrale, ritenendo che ella avesse un compito insostituibile da svolgere nel mondo.
I primi dieci anni dalla conversione li passò a fare la 'maestra' nel senso più totale del termine, in un istituto di domenicane in cui 'la signorina professoressa' si dedicava ad educare le ragazze che si preparavano alla maturità liceale, insegnando lingua e letteratura tedesca.
Conduceva una vita molto riservata, quasi monastica, e intanto studiava la tradizione filosofica cattolica (in particolare san Tommaso) con l'intento di paragonarla col pensiero fenomenologico.
La sua traduzione e commento del De Veritate di san Tommaso fu considerata un'opera d'arte sia per la limpidità della traduzione, che così bene si adattava all'antica lingua del Santo Dottore, sia per la profondità delle annotazioni.

Intanto, ella comincia a rielaborare il suo proprio pensiero e a pubblicare saggi scientifici, anche se la sua nuova fede non le facilita certo la carriera universitaria.
Dal 1928 al 1931 partecipa a numerosi congressi ed è chiamata a tener conferenze a Colonia, Friburgo, Basilea, Vienna, Salisburgo, Praga, Parigi.
Finalmente, nel 1932, ottiene la libera docenza a Miinster nell' 'lstituto superiore germanico di pedagogia scientifica'.
'Era - scrissero i suoi studenti - la docente che difendeva più di tutti senza compromessi il punto di vista cattolico... Superava tutti gli altri docenti per l'acutezza dell'intelligenza, per la vastità della cultura, per la forma perfetta dell'esposizione e per la fermezza dell'atteggiamento interiore'.

Non era ancora trascorso un anno dalla sua nomina, quando Hitler diventò cancelliere del Reich e impose l'allontanamento degli ebrei da ogni pubblico impiego.
Il 25 febbraio 1933 Edith tiene la sua ultima lezione.
È l'anno santo della Redenzione e le notizie delle persecuzioni naziste contro gli ebrei cominciano a diffondersi. Ormai nulla più la trattiene nel mondo e le viene perciò concesso di entrare nel monastero carmelitano di Colonia, dove prende il nome di Teresa Benedetta della Croce.

In clausura vive umilmente, come tutte le altre suore che nulla sanno della sua fama né delle sue capacità, e la giudicano solo, benevolmente, dal suo notevole impaccio nei lavori manuali.
I superiori religiosi tuttavia giudicano che le sue capacità debbano essere valorizzate e le chiedono di continuare -compatibilmente col nuovo stile di vita monastica e di preghiera- la sua attività scientifica.
Riscrive così interamente, rifondendola, la sua opera filosofica principale: più di mille e trecento pagine, di cui giunge a correggere le bozze, ma poi l'editore rinuncia, per paura, alla pubblicazione. S'intitola: Essere finito ed Essere eterno.
Nel 1938, poiché il razzismo infuria, si pensa di salvarla facendola trasferire nel monastero olandese di Echt, dove si reca assieme alla sorella Rosa che l'ha seguita nella conversione e attende anch' ella di entrare in convento.

Nel 1939 scoppia la seconda guerra mondiale. I superiori chiedo- no a Edith di scrivere un libro sul pensiero e l'esperienza di san Giovan- ni della Croce, di cui si sta per celebrare il centenario della nascita. Ella obbedisce con gioia e intitola il saggio: Scientia Crucis (La scienza della Croce).

Nel 1942 cominciano le deportazioni in massa degli ebrei. L'episcopato olandese protesta, ma viene rassicurato: nessuno toccherà gli ebrei che si sono convertiti al cattolicesimo. Ma questo ai vescovi cattolici non basta e in una lettera collettiva, che viene letta in tutte le chiese il 26 luglio, essi condannano ufficialmente le deportazioni di tutti gli ebrei. li 27 luglio, per ritorsione, il Commissario del Reich stila questa disposizione segreta: 'Visto che i vescovi cattolici si sono immischiati nella faccenda, malgrado non fossero toccati personalmente, tutti gli ebrei cattolici verranno deportati entro questa settimana. Non si tenga conto di nessun intervento in loro favore'.
Successivamente il 2 agosto -a deportazione iniziata- il Commissario generale tiene un discorso pubblico in cui testualmente spiega:
'Anche in alcune chiese protestanti sono state lette delle dichiarazioni..., tuttavia i rappresentati delle Chiese protestanti ci hanno fatto sapere che tali notificazioni non rientravano nelle loro intenzioni, ma che non sono riusciti per motivi puramente tecnici ad impedire dappertutto che venissero lette. Se invece il clero cattolico non vuole prendersi la pena di trattare con noi, siamo costretti da parte nostra a considerare i cattolici di puro sangue ebraico. come i nostri peggiori nemici e quindi a deportarli al più presto in Oriente'.
Allora molti ancora ignoravano che deportazione volesse in realtà dire genocidio.

Nello stesso giorno -alle porte del Monastero di Echt- la Gestapo si presenta con un carro blindato per prelevare 'la monaca ebrea'. Le restano pochi minuti di tempo. Sul suo tavolo la Scientia Crucis è quasi finita: l'opera è giunta al momento in cui descrive la morte di san Giovanni della Croce. Le ultime parole di Edith che le consorelle odono sono rivolte alla sorella Rosa, terrorizzata: 'Vieni, andiamo per il nostro popolo'.

Da lei ricevono ancora un biglietto indirizzato alla Priora in cui ella chiede di rinunciare ai tentativi che sono stati messi in atto per rintracciarla e farla liberare.
C'è scritto: '...Io non farei più niente in questa faccenda. Sono contenta di tutto. Una Scientia Crucis la si può acquistare solo se la croce la si sente pesare in tutta la sua gravezza. Di questo sono stata convinta fin dal primo momento e ho detto di cuore: 'Ave, Crux, spes unica' (Salve, o Croce, unica speranza)'.
(Teologo Borèl) Luglio 2005 - autore: Antonio Sicari

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