sabato 23 luglio 2011

La giornalista Francesca Paci spiega dove muoiono i cristiani (e anche perché)

Dove muoiono i cristiani” (Mondadori 2011).

L’inviata de “La Stampa”, Francesca Paci, ha dedicato un libro alle violenze contro i cristiani, discriminati «perché per loro la dignità della persona viene prima di tutto. Una vera rivoluzione». La Paci è corrispondente a Londra, ha vinto nel 2005 il Premio Giornalistico Internazionale Marco Luchetta e nel 2007 il Premiolino Giovani. Ha anche condotto una trasmissione su LA 7.

Non sapeva che l‘essere cristiani e cattolici è un grande problema fino a quando ha scoperto che Tony Blair, allora primo ministro inglese, si faceva portare la comunione di nascosto da padre Michael Seed, il quale entrava a Downing Street passando dalla porta sul retro. Ha raccolto tante storie in “Dove muoiono i cristiani” (Mondadori 2011).

La rivista Tracce ha intervistato la giornalista, chiedendolo perché, secondo lei, i cristiani subiscono persecuzioni in così tante aree del mondo. Risponde: «Mi sono fatta questa idea: il cristianesimo pone al centro la persona e la sua dignità. Ovunque ci sia una situazione in cui il singolo viene maltrattato, fino magari a essere ucciso, dove la sua dignità umana viene calpestata, io ho sempre trovato che quella persona trova rifugio sotto un campanile, in una parrocchia. Ci sono posti nel mondo dove gli omosessuali vengono presi a sassate. La comunità cristiana è quasi sempre un porto sicuro. Per il cristiano, la dignità di ognuno viene prima di tutto. Questa è una posizione rivoluzionaria. Il sacerdote, la famiglia cristiana o il semplice fedele recuperano quel potenziale rivoluzionario delle origini. Irriducibile al potere».

E poi si parla di Amazzonia, Colombia e India, dove sono sempre i sacerdoti -spiega la giornalista- a difendere gli ultimi. I paria in India non hanno alcun diritto, tuttavia vengono accolti nelle parrocchie dove trovano «la possibilità di studiare, essere curati. Tutto insieme agli altri. Questo emancipa. Domani a 20 anni possono prendere un aereo, andare a studiare a Harvard o Cambridge e poi tornare e sovvertire l’ordine delle caste. Una persona che non ha mai avuto niente dalla vita può studiare senza che gli sia chiesto niente in cambio». Nessuno però ne parla, come mai? «A chi interessa un Paese come l’Orissa?», chiede la giornalista. «Non c’è nessun interesse economico, politico a quei luoghi. La nostra colpa è non considerare che in tanti posti i cristiani sono trattati come ai tempi delle persecuzioni. E sono più perseguitati di altri in virtù delle qualità che noi, in Occidente, abbiamo assimilato».


«Viviamo in Occidente – spiega la giornalista - in stati democratici dove il cristianesimo è ancora maggioranza. Non siamo abituati all’idea che altrove questa è una piccola minoranza di fedeli che fanno fatica anche ad andare a messa. Per questo, da non credente, sono rimasta sbalordita dalle aggressioni in Nigeria, dall’assalto alle chiese in Iraq, dalle stragi di cristiani copti in Egitto a quelle dei fedeli dell’Orissa (India). Per non parlare del Pakistan... Una persecuzione che non fa notizia, specie se le discriminazioni non mietono vittime. Sono stata per anni corrispondente da Gerusalemme e ho visto l’esodo tuttora in corso dei cristiani dalla Terra Santa».

Spesso al silenzio contribuisce, paradossalmente, anche la strategia del dialogo: «Credo – continua - che nessuno come la Chiesa cattolica si stia impegnando nel creare ponti piuttosto che muri, con incontri e seminari di ogni genere. E condivido questo impegno. Purtroppo però a volte si rischia di tacitare le situazioni di oppressione. Spesso i copti in Egitto mi dicono è “colpa vostra, perché a furia di insistere sul dialogo non capite che i Fratelli Musulmani non vogliono il dialogo e faranno di tutto per schiacciarci”. Dopo aver contribuito alla caduta di Mubarak, ora temono di non poter ancora accedere a cariche pubbliche. La verità è che nei paesi musulmani la divisione tra religione e politica non c’è mai stata. E non posso che essere favorevole anch’io all’istituzione del Christian Rights Watch, un osservatorio a difesa dei diritti dei cristiani».

Ci sono Paesi, come l’India, l’Iraq o la Nigeria, in cui alla base c’è un esplicito odio religioso, come quello dei fondamentalisti di altre islamici o indù. E altri come la Cina, il Vietnam o la Corea del Nord, dove lo Stato comunista non ammette nessun credo. «Però da laica - sottolinea l’autrice – mi son sempre chiesta qual è la matrice comune della massiccia persecuzione anticristiana ai giorni nostri nelle diverse zone del mondo. Ho capito che il cristianesimo sin dalle origini sovverte l’ordine costituito non attraverso la spada, ma promuovendo la dignità dell’uomo: con largo anticipo su qualunque dottrina liberale o illuminista. Ovunque la dignità dell’uomo è calpestata, il cristianesimo mette in campo la sua carica rivoluzionaria. Penso ad esempio all’India, dove i cristiani sono gli unici ad accogliere i più emarginati, i “dahlit”, quelli senza casta. Oppure all’Amazzonia dove non ci sono fondamentalisti eppure sacerdoti e missionari perdono la vita per difendere gli ultimi e i poveri». Ritratti che spingono l’autrice ad affermare sicura: «La fede è un pretesto, le persecuzioni nascondono disuguaglianze economiche per tagliar fuori le minoranze».

In realtà insistendo sulle ragioni sociali dell’oppressione dei cristiani, la giornalista non fa altro che affermare come la fede non sia soltanto una dottrina, ma si incarni nella vita concreta dei credenti che ha incontrato. «Mi ha colpito – rivela – la testimonianza dei fedeli della Corea del Nord, un mondo ancora inaccessibile. Un eroismo che ricorda quello dei primi cristiani. Ho incontrato uno di loro ad Amsterdam e mi raccontava che per anni i suoi genitori cristiani nascondevano il libro di preghiere in una giara seppellita in giardino: la tiravano fuori solo durante la notte. Qualcuno però ha fatto la spia e i suoi familiari furono torturati e uccisi. E un altro coreano, riuscito a fuggire dai campi di concentramento dove finiscono anche tanti dissidenti cristiani, mi ha confidato che ha sempre tenuto nascosto ai suoi figli la propria fede. “Mi pento – mi ha detto, ma non potevo parlare. Una volta tentavo di spiegare ai miei bambini il Natale, la nascita di Gesù. E mio figlio mi chiese: “Ma chi era il bimbo di Betlemme, il caro leader?”. In Corea del Nord infatti i cristiani sono considerati dissidenti perché hanno un altro “dio” rispetto al leader del partito comunista e il lavaggio del cervello comincia già nelle scuole».

Una tenacia che non conosce confini: «Mi ha impressionato – conclude Francesca Paci - il coraggio di una donna cristiana in Indonesia. Nonostante le percosse subite continuava a ripetermi: “Non ho paura di morire se si tratta di difendere Gesù”».

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